FERMATI!

FERMATI! TI PREGO FERMATI! Spesso urliamo queste parole nel silenzio assordante della nostra mente con la convinzione che qualsivoglia suono non venga comunque considerato. E restiamo lì a sperare che qualcuno, attraverso i nostri occhi, possa leggerci l’anima proprio dove a caratteri cubitali c’è scritto AIUTO!

Nel lontano 1999 fu istituita la giornata mondiale contra la violenza sulle donne ma è solo da circa un quinquennio che si è dato il dovuto risalto a questo tragico stillicidio. Come tutti ben sappiamo la maggior parte di questi scempi si svolge all’interno delle mura domestiche ma nessuno, uomo o donna che sia,  deve dimenticare altri innumerevoli scenari dove ciò si va a compiere. Circa sei mesi fa (ma succede anche adesso) la cronaca ha raccontato di una violenza sessuale subita da una ragazza in una stazione della metropolitana in un orario dove l’affluenza degli utenti pur essendo scarsa era comunque in numero adeguato a poter evitare che ciò accadesse. Eppure nessuno si è mosso, tutti hanno finto di non vedere, tutti hanno girato il capo dalla parte opposta. Io ero lì a fissare le immagini che la telecamera proiettava e mi scendevano lacrime di rabbia, di angoscia, di dolore e mi sentivo “toccata” proprio come se quel corpo fosse stato il mio.

FERMATI!

GUARDAMI NEGLI OCCHI, TI PREGO!

NON TI VOLTARE DALL’ ALTRA PARTE, GUARDAMI! TOGLI LA MANO DALLA MIA BOCCA: NON RIESCO A RESPIRARE. NON TI CONOSCO, NON MI CONOSCI, PERCHÉ TUTTO QUESTO?

QUANTA FORZA CHE HAI, NON RIESCO A MUOVERMI. SONO USCITA PER UNA PASSEGGIATA E ORA MI RITROVO QUI. STASERA NON MI PIACCIONO LE STELLE. TOGLI LA MANO DALLA MIA BOCCA: NON RIESCO A RESPIRARE.

SEI DENTRO ME. IL DOLORE È COSÌ FORTE CHE MI STRAPPA L’ANIMA. GUARDAMI NEGLI OCCHI, TI PREGO, NON TI VOLTARE. C’È SCRITTA LA MIA PAURA. MA PERCHÉ NESSUNO SENTE LE MIE GRIDA? TOGLI LE MANI DALLA MIA BOCCA: NON RIESCO A RESPIRARE.

FERMATI! DENTRO ME STA CRESCENDO UN’ALTRA VITA. OH MIO DIO! NON LA SENTO PIÙ SCALCIARE. OGGI LE HO COMPRATO IL SUO PRIMO VESTITINO. TOGLI QUELLE MANI DALLA MIA BOCCA: NON LA SENTO RESPIRARE.

HAI FINITO, SEI CONTENTO, SEI ORGOGLIOSO, MI GUARDI. INTORNO A ME BUIO E LUCE SI CONFONDONO. HAI FINITO, SEI CONTENTO, MI GUARDI. HAI TOLTO LE MANI DALLA MIA BOCCA MA È TARDI:  NON RESPIRO PIÙ.

Nunzia Esposito

L’acqua bruciata

L’acqua bruciata

di  Fabio Squeo

 

Prefazione

di Danilo Serra

 

L’uomo e la sua esistenza, il soggetto e la sua vita. Una vita carica d’impressioni e significati. È un gioco incandescente l’esistere (ex-sistere), un esporsi ai rischi più assoluti, un porsi innanzi alle insidie emergenti, all’ implacabile durezza dell’avvenire.
I racconti di Fabio Squeo colpiscono per intensità e carattere.È impossibile leggerli sommariamente, d’un fiato. I racconti reclamano lentezza, richiedono applicazione.
Pacatamente vanno accolti e assaporati, verso dopo verso, sorso dopo sorso, come un fresco calice di vino bianco. Niente è più lento della lettura. Leggere, infatti, è uno sforzo continuo che attiva il lettore e lo induce a riflettere, quasi costringendolo, trasportandolo alla volta di una nuova e nobile dimensione. La lettura reprime la logicadella fretta, chiama e raduna il tempo. La velocità – imprescindibile fattore del nostro tempo – non è qui tollerata; è anzi del tutto inefficiente e fuorviante.
C’è un compito precipuo che appartiene all’uomo impegnato nella sacra arte della scrittura: creare interesse. Creare interesse vuole dire in senso proprio “stimolare”, “provocare”, “pungolare”, “destare” il lettore, suscitando in lui attenzione e coinvolgimento.
È questa, in fondo, la grande responsabilità di chi scrive.
Coinvolgere è nient’altro che attrarre a sé, abbracciare, stringere. Chi scrive, perciò, non è mai solo: è lui in irruente compagnia di chi stringe. Uno scrittore, indipendentemente dal freddo numero di copie vendute, compie in ogni parola scritta un sacrificio. Egli sacrifica sé, la propria individualità, il proprio « segreto » , mettendo in comune aspetti intimi ed interiori con lo scopo di colpire l’altro (il lettore), dimorando in lui come il p iù autentico degli ospiti. In tal modo, tra i due si istaura una dialettica, una fitta relazione che ha successo soltanto se essi si comprendono. L’uno e l’altro, lo scrittore e il lettore, necessitano di tenersi per mano e dunque di prendersi per com – pre ndersi. Nessuna fretta: per intendersi c’è bisogno di tempo – l’intendimento è proprio una forma di lentezza che incanta.
L’acqua bruciata è un’ opera che , nella pluralità dei suoi singoli personaggi, pone in risalto un reale protagonista universale. Pur trattandosi di una variegata raccolta di narrazioni, in essa emerge un uomo radicato nel mondo – quello che l’autore ama definire « l’uomo dell ’esistenza » – impegnato a vivere la commedia (la farsa) della vita . Una commedia intessuta di tribolazioni e paradossi «che stanca/ nella serietà/ nella comicità/ nella passione/ nella perversione» .

L’uomo dell’esistenza prova fatica per le incessanti pressioni della vita ( « l ’ accadere della vita » ) e per i naturali acciacchi che impressionano il proprio corpo. È l’uomo « stanco e sudato » sottoposto al « vociare insulso della gentaglia » .
Ma è sempre in questa drammatica pantomima che, dopotutto , si ha il coraggio di stare in piedi e di resistere ai colpi e al peso dell’esistere . L’uomo di Squeo è l’impavido viandante che sopravvive al chiacchiericcio della folla, è la tenace creatura che non s’arresta dinanzi a « lividi di gelo » ; combatte e resiste, affidando si talvolta alla solitudine, affondando nell’oscura e inafferrabile bellezza dei sogni.

Le pagine sono pura esaltazione e, ancor di più, riflessioni che celebrano il prestigio della Poesia , insigne arte quasi obliata nella balorda e tà dello smartphone , l ’ epoca del nascondimento dello sguardo. Nondimeno – son sicuro! – verrà un tempo in cui la Poesia ritornerà a farci ​innamorare . In lontananza avvertiamo già gli struggenti richiami di Goethe e Rilke ; l ’ incantevole eco delle Elegie duinesi rimbomba accomodante nelle nostre orecchie incuranti .

Lontana e vicina , distante e prossima : la bellezza è dietro l’angolo, è già in cammino. Come l ’ uomo celebrato da Squeo, l ’ homo viator sempre in viaggio sulla terra e nella vita, spazi labili del suo destino dov ’ egli procede secondo le sue scelte ed intenzioni verso la vita o verso la morte. È il pellegrino per essenza e per vocazione che prega e supplica pe r la sua ineffabile sorte. L ’ uomo storico è il protagonista di queste pagine , l ’ individuo ch e Lucien Febvre – tra i fondatori dell a École des Annales – indica con la sentenza :               « L ’ uomo, misura della storia, sua unica misura. Più ancora, la sua ragione di essere »

« Gli uomini, soli oggetti della storia – di una storia che non
s ’ interessa a non so quale uomo astratto, eterno, in fondo
immutab ile e in perpetuo identico a se stesso – gli uomini
colti sempre nel quadro delle società di cui sono membri.
Gli uomini membri di queste società in un ’ epoca ben
determinata del loro sviluppo – gli uomini dotati di
funzioni molteplici, di attività diverse, di preoccupazioni e
attitudini varie, che tutte si mescolano fra loro , si urtano,
si contraddicono, finend o per concludere una pace di
compromesso, un modus vivendi che si chiama la Vita »

I racconti lentamente scorrono davanti ai nostri occhi in tutta la loro inaudita potenza e profondità. Sono flussi esistenziali, limpide linfe che sgorga no da rocce e da terreni avvallati, profondi. Squeo è l’interprete che traduce in poesia « i lamenti, le rivelazioni e i drammi della vita » . Egli scava con pazienza nel sottosuolo del linguaggio rintracciando le parole desiderate. I racconti sono così impreziositi da questo estenuante lavoro di scavo e sterramento. Le parole ricercate sono ben calibrate dacché hanno un senso straordinario capace di rende re l’intera lettura dignitosa e ricolma d’interesse. A patto che si rispetti una civile regola non scritta: la già citata legge della lentezza.

 

Per qualunque richiesta o informazione circa l’Opera di cui si è interessati si prega cortesemente di rivolgersi direttamente ai contatti dell’Autore o al sito internet dell’editore.

A MIO PADRE

Mio padre era un uomo che potremmo definire all’antica anche se era nato nella nostra epoca. Egli portava avanti quello che aveva imparato da suo padre e da suo nonno e ciò che spesso avevo sentito dire da mio nonno materno “E figli se vasano ‘nsuonne” I FIGLI SI BACIANO MENTRE DORMONO. Da piccola ero inappetente e lui mi faceva sedere sulle sue ginocchia e con santa pazienza riusciva a farmi mangiare, con sua grande soddisfazione,  almeno una metà di quello che mia mamma mi aveva messo nel piatto. Crescendo vedevo mio padre “allontanarsi” da me, forse voleva prepararsi a un mio probabile distacco, una sorta di autodifesa per evitare di soffrire troppo. E quando arrivò “quello giusto” cominciò a trovargli un mare di difetti, geloso di quello che gli avrebbe portato via “la sua bambina”. Mio  padre amava molto la sua famiglia e, come mia madre, lavorava molto e insieme costruirono una casa bellissima. Lui amava molto le rose e si dilettava a piantarle nel nostro giardino. Dopo la sua morte, con nostra grande sorpresa, una pianta di rose sdradicata  fino alle radici, ruppe il cemento che l’aveva ricoperta per una modifica apportata alla casa e “ricomparve” più forte che mai. Quando si ammalò e capì che non ce l’avrebbe fatta, espresse un suo desiderio: “Sulla mia tomba voglio solo due rose”. Non cancellerò mai dai miei occhi e dalla mia mente, il momento in cui per l’ultima volta, su quella sedia a rotelle, uscì nel giardino, aspirò il loro profumo e sospirò di felicità. Fummo io e mia sorella a poggiare le due rose su quella bara, che lo avrebbe nascosto ai nostri occhi per sempre.

A  MIO  PADRE

Quando un fiore sboccia ci affascina

con il suo profumo e con il suo splendore.

Poi, con i giorni, ogni petalo appassisce

e spinto dal vento, pian piano cade.

Tu amavi tanto le rose, e come loro, hai visto i giorni dello splendore

 e hai visto i tuoi petali appassire.

E a poco a poco, ogni petalo è caduto,

lasciando in me un dolore immenso e, in te,

la consapevolezza e la gioia che non avresti più sofferto.

Lì dove ti trovi sei ritornato la rosa che volevi essere.

Io ti prego di aiutarmi a ritrovare presto il profumo della serenità

Nunzia Esposito

 

 

a mio padre

LA SCALA NATURALE DELLA MIA VITA

Artista: Giovanni Maffeo

“LA SCALA NATURALE DELLA MIA VITA”

Il cantico narrante .

 

Presentazione .

Nome: Giovanni Maffeo
Poetanarratore.

In questa mia narrativa dei miei pensieri ,dell’umana gente. La poesia trionfa nella travagliata e meravigliosa vita. Con molti anni alle mie spalle apro i miei occhi al mondo, nell’anima mia, al mio fiorito luogo natale . tra colli e mare incomincio a meditare ,un fraseggio del mio immaginario di poeta narratore. Racconto a voi a tutte le genti :dialoghi ,storie di me; della mia gente, del mio stato d’animo, del mio pensiero ,passando ad allargare lo spazio della natura ,come della storia ,cercando con ansia cosmica le vie del cielo risalendo con spirito d’umana virtù .non solo ai primi abitatori della terra che le leggende e le favole ricordano. Oggi che viviamo nel ventesimo secolo dove tutto è superato ,rimane il pensiero della gente, “la poesia”.

Canto primo.

Comincio dunque a salire il primo gradino della mia scala naturale ,della mia poetica ,ove per essa percorro tempi ,analizzo stati d’animo, in una sequela di poesie che narrano la mia vita ,la mia salita all’alto scopo ,al crescere cultura in un mondo sempre più sgretolato .

( la fanciullezza )

Ed io fiorivo nel giardino delle rose
di stirpe antica raccolsi gloria.
Fu il primo tempo della vita mia ;
il primo gesto che mi rese uomo .
Andavo via per incontrar fortuna ,
da acri odori e sudori di fatiche ,
col cuore impavido e il volto fiero ;
mostravo a tutti la mia inibizione.
Raccolsi pane al chiaro della luna!
Come nella giungla tra la nebbia e brina ,
stringevo tra le mani la mia madonna bruna ,
muovevo i primi passi verso l‘odissea.
Bevvi del buon vino nell’età dell’oro
e a piedi scalzi m’affamavo di miseria ,
di gaiezza mi nutrivo ,
coglievo il frutto della fame .
Dal nido volai senza ali :
lì ,la prima prova per essere uomo ,
sull’aia ballavo le danze popolari ,
Ballavo la vita ,l a mia ,
sul pianeta terra incominciava .
Di profumi m’inebriavo !
Tutto intorno la bellezza m’assopiva ,
col companatico i sapori ,
mi punsi con le spine senza farmi male .
Fu breve l’infanzia !
Da corsi d’acqua bagnavo le mie vigne ,
aprivo alla mente i primi sogni :
cantavo con i lupi gli inni dei poeti .
Ballavo danze contadine
e conobbi la selva scura ,
su i monti l’avventura .
Salivo così il primo gradino
della mia scala naturale.

Qui mi trovo in un viaggio contorto , furie di parassitismi mi invadono l’anima, li affronto, li temo, li combatto .Lotto con tenacia ,le ignoro ,è il tempo di fare poesia , di crescere e salire la mia scala naturale .

(viaggio nel regno delle anime)

Canto secondo

La giovinezza .

E mi trovai smarrito in un viaggio senza luce
perso al buio e non mi accorsi che ero solo ,
Oh pietose anime abbiate pietà di me ,
di me che onore infamo ,
di poesia bramo il canto del cuore mio .
Datemi voi la forza !
Datemi coraggio per camminare ancora ,
datemi scosse di elettrizzanti lampi ,
di questi anni ,della mia giovinezza vera ;
le vere parole che mi furono sincere .
E tu uomo vivi per quel che sei
e non ti crucciare ,
non sperare di vedere il cielo
se di sera chiudi gli occhi per dormire ,
io scrivo per orgoglio e taccio
di ogni cosa ,la stagione ha la sua fine
il cui tempo fiorì il fiore ,
sfarzoso fu il nefasto regno ;
la nuova era emigrò amori .
E mi rivolgo a voi anime irrequiete
nella vita non si trova pace ,
adagiate il fato e raccogliete venia :
raccogliete le messi per dare pane .
Viaggio nel vuoto senza fine ,
lì vado a cercare la mia paura ,
non ne uscirò ne son sicuro
lì l’alba è talmente rara .
Ritorno nel bosco della mente
a vagare senza misura ,
scrivo col mio pensiero ,
con la mia penna combatto il male .
Oh Se fossi eterno
pagherei la mia pace ,
in cambio del perdono
dal male perverso l’innocenza tremo .
e mi chiesi: come verrò da te se paventi noia
a calpestare suoli dubbiosi ? In te io mai fui accolto
mai fui bramato del tuo sesso iniquo ,
Io non volevo alcuna cosa oltre l’argine del mare …
guardai in alto e vidi le tue spalle rosa ,
ti vidi vestita di raggi e danzavi tregua ;
volteggiavi libera nell’abito da sposa …
E fu così che l’anima mia si genuflesse ,
al chiarore di quella luce fuggì pietosa ,
si volse indietro a rimirar bellezza ;
nel vagare persi .

Il supplizio dell’amore mi fu caritatevole, ebbi giorni lieti, ebbi storie profonde ove il sesso prevaleva ,l’ingordigia mercificava la carne   mentre la passione soffriva .

La frivolezza per l‘amata.

Canto terzo

Tentai invano di afferrarla ,
di cogliere il perduto fiore ,
Ella che ballava luce maestosa ;
dinanzi a me si mostrava aggraziata ,
nell’oro del sole si appannava e scompariva .
Inesorabile si fermò l’ora
scandì i suoi rintocchi ,
a sperar cagione
in memoria mi apparve rea .
Furono i nudi spettri a dare aurore a l’alma mia ,
ai dolenti spiriti
dispiaciuti per la mia sorte si misero a volare :
alzarono le mani ,
e dagli inferi gridarono alleluia .
Vidi coloro che di sangue si erano macchiati !
Li vidi bruciare nelle fiamme dell’inferno .
Ed io urlai più forte il perdono
per farmi sentire dall’eterno padre :
anime dannate da quel inferno salirete ,
l’anima vostra ne sia degna e sana ;
confessatevi dunque ,
pentitevi e vedrete luce .
Continuai il mio vagare tra le fiamme
la mia strada ,a seguire l’unica figura ,
vagavo per raggiungere la meta ,
ove tu anima mia mi hai tradito ,
lì per troppi anni mi son perduto .
Ora tra le tenebre conosco l’eterno pianto ,
la menzogna è del mal voluto .
Oh dolce musa ch’è m’ispiri ,
il mio canto a te dono
lo spirito mio ne va fiero .
Spesso pecco di gratitudine
l’estro del canto mi fu dato ,
i suoni mi furono concessi ;
forse per amare il mio me stesso .
E scrivo ancora per amore
un poema senza fine ,
Per la divina donna mi chiamò e fui reale.
Di comandar io la rinchiusi
in un solo canto l’ammirai .

E ancora: Dante mi ispira !
Donna , che sia giudizio lassù infrange
l’amore mio per te resta evanescente ,
tale mi faccio di virtù , il tanto ardire vesto
ch’io a te parlai come persona franca e desta .
Ricordai di me e andai in un tempo ancora vivo
a chi mai leggerà questo presentimento lesto :
al povero illuso che odia e ama ,

l’anima mia non ne può fare a meno …
No , non sono io il giudicante , il giustiziere !
Non spetta a me dare sentenza vana ,
quello che ho avuto
è il mio disprezzo e a null’altro beo.
Ora la perla nera nella cassaforte giace ,
la sua chiave l’ho gettata via ,
si prostrino a me i veri buoni
ed io riaprirò ancora fiumi …
Ma nella reale supponenza
la volgarità è degli immondi ,
purgano destini di infusi rari ;
su fogli di carta sputano veleni .
Questa è la sofferenza
ove le anime si sentono smarrite ,
vanno nel simposio dei commedianti ;
dove l’amore trova il suo scopo.

E fu pienezza piena, culmine delle mie aspettativi,finalmente davo sfogo al mio desiderio ,davo a me la certezza d’essere uomo ,ma io salivo   il riverbero dell’intelletto ,questo mi affascinava ed ero fiero .

La Pienezza

Canto quarto

Il Seminatore di discordia .

E fu fraudolento il suo credo
Barattò il paradiso con l’inferno ,

Con la sua anima indossò tormento ;
Della sua discordia ne fa trionfo .
Furono i suoi vizzi ,i più profondi :
La carnalità gli diete vanto ,
S’abbuffò e soddisfò i mal pensanti ;
Egli era avaro della sua stessa ira .
Col prossimo fece il prepotente
Affila le sue lame con i denti ,
Tra i seduttori e gente lusinghiera
La sua ignominia gli dà lussuria .
Di bestialità ammanta l’attrattiva .
Furono vizzi le fisiche azioni
Volgono l’abuso all’attributo ,
Contro il volere il rifiuto ;
La sua patria è una terra infame .
Fu il seminatore della discordia !
Vive e regna tra tutti noi ,
Spande gramigna e olezzi impuri ;
Sul prato delle vergini va a dormire .
Ma dande disse :
Vedi la bestia ,per cui mi volsi ,
Difendermi da lei famoso saggio ;
Ch’ella mi fa tremar le vene .
E fu l’inferno sulla terra !
Nei cuori maltrattati nacquero innocenti ,
Su la gogna tra i cantori ,
i poeti del duemila .
In ampi spazi furono riconosciuti
Un epoca che abbraccia il mare ,
Sorge il nuovo tempo ,la beltà e nuovi elogi;
I narranti della nuova specie.

Ma dante ribadì il vero:

E poiché la sua mano ,la mia prese ,
Con lieto volto on d’io mi confortavo ;
Mi mise dentro alle segrete cose .
Disse che tanto è amor ,
Che poco è più morte ,
Ma per trattar del ben ch’io vi trovai
D’altra cose dirò ch’io v’ho scorte .
E come Dante canto il mio sentire :
Canto il mio inferno dell’amore ,
Un’espressione logica degli umani ;
Canto l’altrui sdegno ch’è m’ha ferito
D’amore m’ha reso schiavo .
E il mio vagar continua ,mai si ferma!
Va oltre il mio intelletto crudo,
E nei conforti di colui che fu vate ;
Io l’irrisorio mi prostro e mi riduco.
Seppur io l’apprendista ,banditore di inerzia!
Con la mia preponderanza vado ,
Con una marcia lenta ;
Ogni vocabolo arriccio .
S’on’io il folle e mi metto in evidenza ,
La lirica mi commuove,mi dà apparenza
Una presunzione illogica .
E nel liquame la miseria spande !
Ogni giorno abbonda ,
A macchia d’olio tra le menti ;
In ciance e lagne si manifesta sulla scena.
E salgo sul colle ,il più alto tra le nuvole !
Salgo su ,tra i confini dell’amore ,
Tra il vero e il profano ;
Ove gli opposti danno prova di saggezza .
Scruto la sorgente d’ogni fonte
Ove ogni gioia, delirio ottiene:
Di musica interiore suona .
Salgo l’ultimo gradino ,
È il massimo del mio essere poeta ,
Sempre più su,tra l’immenso scrivo;
Tra coloro che nella sua dimora sanno meditare .

Trovai incubi di folle inferocite ,tra i dannati i loro diluvi ,gente senz’anima ne pudori si masturbavano l’esistenza senza capire il vero amore .

( Col pensiero ,tra i dannati.)

Canto quinto

Sempre più stanco e sfiduciato

nell’altro modo mi incammino ,

tra gente opaca e volti sconosciuti .

Ascolto i dannati da un conico imbuto :

questa è gente che non conosce luce ,

dannano la propria vita per i torti ricevuti .

Sono molte le anime che soffrono

piangono la miseria che hanno abortito ,

in un cestino della spazzatura buttano il loro feto .

Una vita buttata al vento e smarriti vagano nell’inferno ,

piaghe che all’argano le crepe ,

di una tomba fanno la loro casa .

Dannati , esseri immondi,

dannati per volere un cielo azzurro ;

per volere l’esclusiva all’amore

scelto a caso per il solo piacere  .

E   mi danno l’anima , la mia,

nel vedere tanto vomitare

tanto spreco che si butta via,

tanta carne che si vende e si marcisce al sole ,

si odora al disgustoso sesso .

Ma c’è vita negli animi gentili !

Quando il dolore si fa rude l’anima muore ,

creature innocenti vengono salvate ,

Da un angelo del celeste paradiso .

E nelle notti di luna piena ,nei passati anni  

agli inizi dei tempi ,quando i vampiri dominavano le tenebre

e le due grandi faide si detterò battaglia …

ci furono i primi dannati su questa terra ,

ebbero un cuore di luce, in loro sbocciò l’amore

si mutò la specie ,

si innamorarono alla perdizione e nacque una vita .

Nacque il buio ,e la luce ,il bene e il male ,

dove la nuova specie ebbe la salvezza

dalle tenebre fu emersa e il castello fu salvato …

Ancora oggi  si racconta :

esseri invisibili spandono veleno ,

nascondono il vero al passato che fu sangue e dannazione ,

fu la tragedia dei buoni nel creato

che ora si ribella e chiede aiuto.

E   tu donna di questa epoca lasciati amare

non perdere quel che puoi avere ,

lotta contro il male e semina ancora il tuo fiore 

lascia che il tuo germoglio venga annaffiato ,

e il giardino sia sempre in fiore ,

il tuo paradiso sia sempre amore .

Col pensiero,tra i dannati,

salgo il terzo gradino di questa mia scala naturale ,

mi porto nella via del sapere

e mi accorgo sempre più d’esser solo

Ma forse un giorno anche io avrò un’uscita

tutti insieme canteremo in coro :

il grande giubilo al signore …

Spesso il buonismo m’attanagliava ebbi sconforti di natura ,di scoprirmi che il cosa servisse il mio narrare ,e darlo in pasto a plebe senza scopo 

La rassegnazione

( canto sesto )

Ed è in molti cuori che la rassegnazione appare

ed è vita quando il dolore muore,

in sentimenti le parole

poi la collera le opprime e l’anima si vede solo al buio …

Si sopporta quel dolore che è la causa del pianto

dei malanni e i mille affanni ,

è la croce che non si crea ,ma si propone

si veste di cattiveria e di stupidità umana .

A   nulla serve il voler vivere al buio

il bene produce occasioni e nasce passione,

so che tu anima sincera cerchi vita ;

soffri il male d’amore e aspiri gioia.

Si dice, che l’ultima è la speranza a morire

si impara a sopportare anche la rassegnazione,

tante sono le anime che dal purgatorio piangono paure

non accorgendosi che qualcuno ,

di loro si vuole innamorare.

Ed è stupore ! Angeli nel cielo pregano per noi ,

si accostano e ci portano in volo ,

noi portatori sani apriamo il paradiso al placido perdono.

No non serve rassegnarsi !E’ come perdere la vista

oltraggiarsi e nascondersi è una partita persa,

lottare ,amare è rivalsa è stare bene con se stessi.

Salgo il mio cammino e continua solitario

tante braccia si tendono e le lascio sole ,

capisco che ad afferrarle le farei soffrire

e le lascio andare a raccogliere fortuna.

Vorrei ,  raggiungere la mia meta per tornare indietro ,

ma porto con me un sacco in spalla ,pieno di vocii

lo vorrei accorare con l’affetto e l’amore

lo svuoto per una ragione sola ;

per dare voi lo spazio necessario .

Salgo il sesto gradino con fatica e vedo il mare ,

lì ,la sirena mi invita nei suoi desideri ,

la lascio nella sua dimora a meditare,

Essa sa che anche un solo bacio fa fremere il cuore .

Riuscì col tempo   ad ascoltare i suoni   ,quelli che nel mio sentire concertarono poesia ,una musica dentro senza barriere, un canto che nasce spontaneo .Tutto da allora fu più facile comporre ,esprimere la mia smisurata melodia .

(la mia musica poetica.)

Canto settimo

Racchiuso in brevi versi è il mio pensiero in musica

è gradino ove in me nasce il suono

il massimo livello del mio “essere “

una mediocre sufficienza guadagnata con sudore.

È  qui ,in questa musica che urlo!!! urlo poesia,la mia !

Ed è in questa vecchiezza che trovo la saggezza ,

il rifiorire giovinezza e l’oblio della vita mia .

Ho conosciuto verità che non fa mai parola

e la mia carne trema di desiderio ,

mentre colombe bianche volano innocenza

e oltre il cielo, in una gabbia dorata strillano perdono

raggiungono l’eterno padre,

e con voce rauca si perdono nello spazio infinito.

Ma io che conobbi l’amore a me fu negato ,

più volte fui sollecitato dal sincero sentimento,

fu vano il mio grido ,

foglie volavano al vento sperdendosi nel pianto

nella stagione d’autunno …

Caddero i maturi frutti marcendosi al sole

seminai dolcezza, che per anni ho creduto,

tutto fu vano ,troppi i dolori ,

orgogli e finzioni nauseavano piaceri

solo platoniche seduzioni saziavano rimedi.

Ma io continuo a salire nel mio regno della fantasia ,

ci fu una lotta contro il tempo che non ha dimensioni

mi avvicinavo per poi allontanarmi senza una ragione ,

alla miserabile illusione che soddisfa i colmi vuoti .

E gira tutto in una canzone ,si elogia poesia !

Il vero non lo considera nessuno

nasce così la mia musica ,

nasce da una fanciulla innamorata   !

quella sei tu che mi leggi e trovi le mie parole,

essa valica montagne ,

sali sempre più in alto e urla il tuo amore

ti fa inebriare, col suo odore fresco di natura.

Ed è   questo pizzico di follia che vive il mio tempo

ora che con la penna combatto ancora,

presto sarò solo ,su un pianeta vuoto ,

lì fioriranno i primi prati verdi

ove un domani ci sarà futuro

l’antico verso farà la storia .

I senza nomi ne abbonda il mondo, gente che si nasconde ,ha paura di sognare ,striscia tra i rovi e disprezza la vita .

Canto ottavo

La gente senza nome .

Varcando le porte del tempo

percorro le strade del mondo,

in esse la gloria dei viventi

la stagione che muta ogni sogno.

Ed io seguo gli indefiniti

la plebe oscura senza nome,

dalla cui esistenza le classi sociali

si concentra in un riso svelto.

Seguo i percorsi che l’istante accoglie

Nel immediato comunica il suo dire:

rivela l’immediato,perduto ripetuto,

ritrovato poi in distanze il sereno.

Una preposizione semplice

di soggetto predicato ,

ove l’altrui crea la sua forma,

sul gradino della conoscenza

diffonde e avvede …

E si realizza il rozzo culto!

L’intelletto quindi dal fondo emerge:

di passione è la sfida è l’eco che dal suolo tuona .

Parla la fonte :

tra le fantastiche ironie si bella

un cristo viene ucciso l’ironico eroe muore.

Ed io narro!

Narro il mio sorriso …

Il paradosso inquietante

di una sincronica evoluzione.

Narro il senso della gente senza nome

e dal suo opportuno crea e svela .

Narro e vedo che in un albero secco

è custodito un tesoro , si dispongono ruoli

del rarissimo amore.

Si sale su per la scala naturale che porta al cielo,

con parsimonia istallo il credere profano

separo il passato al odierno giorno.

Mi sconfino e vado oltre l’estremo

appaio onesto e saggio …

Appaio come l’essere potente.

Appartengo ai senza nome

in minuscoli pensieri

espongo la mia regola.

L’avarizia ,la cattiveria

è il fertilizzante   degli umani ,

è la terrestre condizione

nel chioccio riso il bene.

L’anima mia si fa  bella

tra le effimere belve

diffondo il mio pane in nome dell‘amore .

Arrivò il tempo in cui  lo spirito  ebbe necessità di arricchirsi di essere puro ,di pregare un fervore ,una sensazione di magia spirituale .

Canto nono

La spiritualità dell’anima .

 

E salgo sempre più su ,verso la fede

Verso un’anima sempre più consapevole

Di un dettato spirituale  .

Strappami l’anima

Poesia spirituale

Scrivo d’amore ,

E narro la gloria del nostro Dio ,

Scrivo il linguaggio delle parole

A volte , fanno tanto male .

Questi righi ,son per te , donna !

Nel mio pensiero rapito

Abbagliato , da luce fragile ,

Aprimi il tuo mondo ,

Fiero, invoco , il nostro giorno .

Strappami l’anima o Signore

E donala ai buoni

Sulla spiaggia del sole ,

Ove l’acqua benedice il mare .

Ed io riesco a cantare …

Dové l’amore ?

Non riesco a cantare ,alleluia !

A urlare forte il suo nome …

Gli occhi suoi ,non mi possono toccare ;

Solo Dio col suo sole , mi da luce .

Trabocca di veemenza l’innocenza !

Nell’impeto procace m’abbuia

Mi rende cieco .

Per te o Signore ,stringo i denti

Ora , o più tardi ,

La mia carne è debole ;

Ti prego , strappami l’amore !

E nella mente dell’anima mia ,

Io posso , vedere il paradiso ,

Rendimi saggio al cuore mio

Come le rondini del cielo ;

Ancora ,una volta volo .

 

L’anima infranta

Canto decimo

Con spirito di umana virtù rimetto i miei peccati

Al Cristo ,nostro Signore ,

Alla benigna sorte , al suo contegno …

A Dio che è fede è luce .

All’anima infranta !

Che è cibo per rigenerarsi carne …

Ma s’avvinghia su di me , la parvenza ,

Difende il degno petto ,

Essa , è ombra  ;

È la signora che lucida il giallo .

S’on’io il paragone ,

Il crudele paradosso che acceca il senso ;

Il trasmigratore della similitudine

Che al palpito sorprende ,

L’eletto senza forma .

Ed è lui , il rampante ,

Contro i grilli si scaglia ,

Ha l’udito rapito e và a cavallo

Lei trotta , e gli fa battaglia ,

Gli scardina il cuore , l’amor profondo

È libera la pulzella , la puledra del castello .

Lei col punto croce lavora la sua maglia ,

Non vuole invecchiare ,

Si sente una farfalla

Si vede bella e la sua beltà guizza il vanto ,

Ma sovviene il se con l’incerto

La lercia storia s’avvelena .

Insoddisfatta , plana e lena

Mentre tesse sangue umano .

Lei rumina l’ozio !

Inganna i vizzi , i piaceri

Il irrequieto bisogno gli schiuma l’aria .

Perpetua   la sua carne ,

schiuma vanità , arroventa il cuore ,

Ma io, ahimè , son luce spenta

Dove sei?

Corro su binari paralleli ,tra rovi,

Annuso l’odore , di sacrestia

Ove un tempo ,mi credetti un santo .

È ferita l’anima mia ,và, verso altri lidi ,

Va , sull’isola della fede ,nel vorace sogno

Della vana attesa .

Annuso la sorda tenerezza ,

Il fascino del tuo spazio assorto

La freschezza speziata

Ha il gusto d’un raspo d’uva .

Oh mia bella , gli disse il gallo :

Oggi canto col l’amor dolente

Vieni da me , nel vortice delle gemme ,

Vieni, e stai tranquilla .

Vieni, a rifiorire , vertigini fanciulle

Ma tutto s’acquieta , va lento ,

Va, a passo di lumaca .

Si insinuano i sensi , si implicano

E tu, vorresti ,baci furibondi .

Li vorresti sul viso, sul collo , ovunque  

Ove posa la mia lingua

Ma son chiuse le mie forze   ,

Tremano, non han gaiezze

Si trascinano in orizzonti pallidi  

è il tempo che non si ferma ;

Tocca l’albe , delle stagioni assenti .

 

Poetanarratore .

E sempre salendo la mia scala naturale

Incontro i quattro peccati capitali

Ne faccio canto .

 

Gli abiti del male.

Canto undicesimo

( superbia )

E svelo a voi ,i miei più reconditi segreti
i quali sono gli unici miei peccati;
e salgo pentito su di un rogo,il più atroce!
Come una strega intrattengo con me forze oscure.
Ricevo poteri e mando malefici,
faccio fatture e legamenti d’amore :
nel t’orbito poi mi ritrovo ad oscurare i miei pensieri.
Di infusi alchemici aborro la superbia
e mistifico la mia anima
di peccati non voluti ,scommessi non desiderati
dal diavolo tentatore tu la femmina perversa sei
in presupposti già scontati m‘abbagli di luce antica
ho sfoggiato la superbia !
L’eleganza dell’incoscienza in te regna,
la superiorità d’essere il migliore ,
l’arrogante menzognero!
E ho indossato l’abito più bello
in apparenza farò faville
per mostrarmi a te sincero
quando ti vedrò per donarti la rosa nera .
Ho disprezzato la fede ;
con irruenza le guerre chiama
la spiritualità interiore resta integra a chi ci crede,
ho peccato di carità ,la più sincera
e della speranza ne ho fatto tanta fame …
Tu femmina di questo eterno di beltà vesti
di rosso porpora ti innesti
nell’anima del mio corpo bussi forte
coronata d’oro lussureggi l’eleganza!
Nello specchio della fantasia ti rimiri
e con superbia ti fai desiderare
ti chiedi : sono io la più bella del reame?

( avarizia )
Sono avaro e son contento !
Di avarizia vado a rallegrarmi ,
a riempirmi tasche di danaro fraudolento
di pane della povertà sono ladro.
Rubo sensazioni e sogni a chi mi ama
mi sazio di invidia e mi nascondo,
come un Paperone de peperoni avaro tutto tende
con prepotenza ingiustificata son felice.
Soddisfatto nel benessere poi affogo
completo la tesaurizzazione dell’ingordigia
tu la tentatrice di avarizia vivi ,
doni la tua carne al primo incosciente.
E con interessi guardi il futuro
di virtù ne giustifichi premura,
raccogli spiccioli per portarli in sacrestia
dai valore alla famiglia unico tesoro.
Di bontà ne fai ricamo ,
tra le righe di poesia il tuo amore.

( lussuria )
E tra le fiamme dell’inferno io con te mi brucio !
Lussureggiante vago a godermi la vergogna,
mi abbandono a mistici misteri
e della carne la lussuria con te godo.
Consumo l’ultima candela a te il mio pensiero
nel letto gli ultimi sospiri .
Tutto è fasullo svanisce la chimera
ti cibi in molti cuori
il denaro sprechi ,
sciogli crepe amare
nella lussuria ti lasci andare
e a occhi spenti offri passione .

( invidia )
Di malsano mi rivesto e vado avanti ,
in queste minimali esigenze
nei confronti delle classi dominanti perdo,
giustifico il banale sostentamento
e di invidia il mio ritegno.
Deludo il mio stesso presentimento,
l’autostima di me stesso vanto!
Da un mancato affetto mi difendo
faccio la voce grossa e poi mi arrendo
tu la divina ,di invidia tra le stesse ne fai vanto,
gelosia forse ?
Parli , parli della vita tua , la mia!quale?
Nascondi sentimenti i più reconditi
e divaghi oltraggi io ti proteggo.
Di te parla la bibbia :
Sei la più casta , la più pura,
ti cuci gli occhi nel vedermi
e non sai ciò che vuoi,chi sei?
Forse la creatura è la figlio del mistero …

( ingordigia )

Canto dodicesimo
Affogo nel cibo nell’ingordigia
i malsani desideri :
nella la pancia dei diseredati l’inganni ricevuti,
è la povertà che fa l’uomo ladro
e non trova soddisfazioni per amare .
la miseria lo abbonda e si lascia andare
vuole il piacere il pane dei poveri diavoli.
Il vizio contorto l’ingordigia affama
oggi ti impicco e domani ti ristoro.
E ti vesto di eleganza tutta bella sei!
Con tacchi a spillo ti dipingo da madonna
con la gonna corta mi mostri le mutande
le sensuali cosce mi fanno eccitare,
ingurgiti promesse a iosa
e divaghi tutta smessa
vai a pregare e mai sazia sei …

( Ira )
Sono in collera con me stesso
e bevo fiele
mi masturbo l’anima e mi sfogo,
placo l’ira e gioco a fare l’innamorato
con un amore faccio il gioco sconosciuto.
Ho la coda di paglia che con poco si infiamma
con le sole lacrime poi mi spengo,
butto in aria il mondo
e l’acqua sul fuoco mi incendio
ma dov’è ! dov’è finito il tuo amore ?
Io prigioniero di te che non ci sei ,
mi arrabbio e mi consolo
so che in qualche angolo di strada mi amerai 

tu femmina ,spesso sei scontrosa
ti fai desiderare lasciandomi morire ,
ti agiti e mi porti al creatore.
Mi porti a guinzaglio a passeggiare
lungo il mare e poi a far l’amore
mi copri d’ira di beltà mi sfiori
sulle tue labbra il mio bacio trema …

( accidia )
Oggi ho smesso gli abiti del male
e di virtù mi voglio vestire :
li ho portati alla fonte d’acqua pura
dove tu con me vuoi bere.
È lavatoio dei perdenti ,i sognatori ,
lì c’è il mercato dei latenti!
È l’ozio della poca voglia la fede imbroglia
l’apatia dello stoico circostante :
verso me stesso ,
verso la vita che ci coglie e fugge ,
è il più peccaminoso dei capitali vizzi
la deludente congruenza
che annaffia di freddezza ,
la misura suadente
che dentro di noi fa la sua dimora .
Tu angelo che gaiezza doni
ragione d’esistenza dai
paventi la saggezza e mi lasci senza denti ?
Tessi la certezza è la tua tela
e mostri la fragranza ,
mostri quello che vorresti essere e non sei.
Per te io sono uno degli amanti
l’innamorati il solo !
Sono una conchiglia del mare
che ti manda suoni e mappe di tesori …
***
Mi tolgo di dosso gli abiti del male
e non voglio più peccare !
Voglio solo amare e di dolore non saperne ,
brindare alla vita ,all’amata che ne sia degna .
A una dignità di tanto impegno
alla serena libertà di vita …

Poetanarratore .

Ed io salgo i gradini del cielo , vedo stragi e immonde guerre ,vedo che nei secoli nulla è cambiato ,che l’essere umano è sempre più feroce .Salgo l’incerta epoca ove l’amore ha sempre meno valore ,ed io forestiero del mondo intero   PREGO   , PREGO L’AMORE !

Prego l’amore

Canto tredicesimo

Prego e nomino il nome di Dio invano

Ave ,ave o Maria ,

Prego il padre degli uomini

E mi genufletto al suo cospetto .

Prego l’amore

e umilmente anelo il suo infinito ,

La grande grazia

Del divino cuore .

Sono sorde le mie orecchie

Si cuciono sulla bocca degli stolti ,

Contro di me , gli arroganti bussano

Prepotentemente insidiano la vita .

E prego l’amore …

L’innocenza sia salvata ,

Da chi loda e poi uccide

Dai mostri , i miei nemici .

Nulla vale la mia supplica ,

Agito il mio lamento e son sconvolto

su di me ,terrore e morte …

Ma il cuore mio si duole ,

dal sgomento si opprime .

Nulla è valso ricostruire

E dopo secoli ritornano gli esodi …

Ritornano le battaglie , le guerre fratricida ,

Ritorna il male con la veste nera ,

Prima uccide poi prega .

Prego l’amore

E i prepotenti non conosceranno mai la pace ,

Che piombi su di loro l’irrequieta vita ,

Scendano vivi negli inferi ,nelle pene eterne .

Prego l’amore

Prego per i piccoli fanciulli ,

Che crescano nella gloria del signore

E dal male non saranno mai infettati .

Prego l’amore

Troppi gli agnelli morti …

Dio ,dove sei !

Troppi gli olocausti ,gli inferni da patire .

Prego l’amore

Malvagi ,gente senza nome

A quale natura appartenete ?

Dovrete perire col ricordo dell’amore

E ogni anno verrete giudicati sul patibolo del cielo .

Fuggirete sempre come mandrie nelle foreste in fiamme ,

Come conigli e asini che ragliano

Su di voi resterà il marchio dell’odio ,

Solo dai bambini sarete perdonati .

Ed io ,prego l’amore

Poetanarratore .

L’età matura mi porta la preghiera verso il Signore   e   la mia spiritualità mi fa crescere     con più sentimento , con più sicurezza ,salgo dunque i gradini dell’altare e mi volgo a Dio , dedico ad esso   Preghiera .

Preghiera

Poesia spirituale – lode a Dio –

 

E fiorì Gerusalemme tra gli olivi ,

Il grande sepolcro liberò il cristo

Da lui nacque , il segno della croce ,

Gli animi esortò e fu preghiera .

E si diffuse nel creato una voce ,

Era Dio ,che parlò agli uomini

Gli dettò le sue sacre leggi ,

Fu, il suo , verbo della pace .

Dettò i dieci comandamenti !

Le regole dei diritti e doveri  ,

Io sono il Dio tuo,

Non essere falso, e non rubare .

Dettò , l’amore !

La speranza ove cresce vita ,

Di umiltà , il degno merito ;

Di ubbidienza , l’io medesimo .

Vieni dunque Dio , vieni a salvarmi

Vieni signore ,ti aprirò la mia casa   ;

Sono io il peccatore , e non ho la stabile dimora ,

In te cerco , quella futura .

Il tuo sole irradia il mondo !

Da te creo , da te fu creato ,

Sono amorevoli le tue parole  ;

Si cantano ,nei beati cori .

Vieni o Signore , e benedici i nostri cuori ,

Benedici la donna

La genitrice che genera vita ,

Figlia , madre , sposa

Serpeggia vanità , sui campi elisi .

Femmina , col il tuo seno , amore nutri ,

Passione sacra , doni

E tu uomo prega ,

La bontà in te è immensa

L’amore per te sospira .

Ed è in verità e zelo ,in lodi ti ispiri ,

È nostro Dio ,re , e signore dell’universo …

Abbi pietà ,del nostro incerto ,

Dacci cibo ,per elargire pane ,

Dacci , la tua benedizione

Per essere più buoni.

Trovo uno spiraglio di luce  e fuggo dall’inferno spento ,non mi do pace e vado avanti, vado ove il nulla m’appartiene ,sempre convinto di salire la mia scala naturale .

Nell’inferno spento

 

E m’incammino su deserte vie

contemplo un mondo straziato e vuoto ,

vedo il debole fallo;

il mio abbaglio non è conforme al vero .

Su un palcoscenico senza vita

solo ,vado nella deserta strada ,

strada , che a te, imperterrita conduce ;

verso l’ultimo sole,   m’abbaglia e mi acceca …

Entro in   foreste e rupi tra spazi incerti

segno il mio passo …

lì incontro il mio io, pieno di tormenti e sogni.

Mi chiedo   :chi   è   quell’anima smarrita ?

È l’io penso ,la mia ombra, che vive ai confini dell’inferno .

Nell’immenso spento si insinua il tuo animo gentile:

sconfitto e deluso non si da pace,

vezzoso ruba,   i miei colori immensi ;

stringo a me la tua immagine sbiadita .

È un cuore palpitante il tuo

e nell’udire musica incredulo sospira,

per te la vergine bianca ;

forte batte il suo chiodo fisso.

Io amo la mia donna e la vorrei!

Voglio amarla sempre in ogni vita ,

viverla nei colori del mattino, ad ogni ora ;

voglio respirarla in ogni aria .

E se un giorno nell’inferno spento andrò a finire

non mi brucerò ne son sicuro ,

pazzo d’amore perirò follia ;

su labbra assetate di sangue

non potrò più bere .

Oh se tu fossi una colomba!

Mi porteresti dove l’orizzonte bacia il mare,

dove le fiamme avvampano i nostri cuori ;

nell’azzurro abisso, scoprirei l’universo .

 

Finché ci sei tu io vivo ancora …

Trovo un muro che mi ferma ,rifletto   se son smarrito, mi accorgo d’essere solo, contro un muro del pianto ove la fede mi coinvolge e mi rafforza .

Son certo la strada è giusta , salgo convinto verso un nuovo traguardo, verso il mio fine ,verso l’altra meta .

Il muro del pianto

È alto  il muro che fiancheggia la mia strada,

la sua altezza oscura il mio cuore,

tu la creatura ,la pallida figura

di questa   mia tormentata vita.

Accettami per quello che sono,

per l’amore che ti dono,

lasciami   esternare

la mia irrefrenabile passione ;

la dove un pendolo

rintocca,suoni desolati.

Sul muro del pianto sott’occhio

ho sollevato il tuo velo nero ,

umiliandomi son fuggito ;

dalle mie difese mi son recluso .

Mai potrò sentire

il calore dei tuoi   glaciali fremiti ,

sentirne il colore dei tuoi sguardi tenui .

Tu la vergine bianca!

L’iride desto che guarda l’orizzonte ,

sentenza in apparenza danzi ,

il valzer ,della mia vita .

E mi illudi , mi travolgi

mi dai l’apparenza del peccatore   folle,

io esplodo !Grido i mie   sgomenti,

in questo letto vuoto dove giace il pianto.

Urlo , mi pento!Nessuno mai mi sente …

Vita ! Vita ingrata

perché non mi hai donato il sospiro ,

il languido desio di un amore puro?

Tra le nubi ,vuoti   senza pioggia .

Il muro del pianto si sbriciola lento

sul mio petto arido ,

s’adagia la sola stella spenta giace .

Varco le soglie dell’infinito e la passione mi coglie e come uomo che si strugge d’amore son malato nell’anima ,mi duole ,mi fa male non averlo   ,mi sento ancora vivo e voglio amare ,Amare la femmina che sento nell’anima ,nel corpo nei profumi,la voglio   .Ma salgo con la speranza di averla di soddisfarla   ,di farla godere col mio calore . Salgo   la scala che mi porta al sole ,alla luce eterna .

 Sulle mie labbra , il gusto intenso di una tua lacrima

Divorano ricordi i baci rubati

brucia la mente arsa …

tu, il grembo vanesio

il   cuore mio tagli ,

porti alla forca ,l’innocente larva .

E fu l’alba del sorriso

a scuoterci di nuovo

e   renderci schiavi …

a imprigionare  desideri

e conquistare attese .

Fosti tu , l’inafferrabile amore !

Sulle mie labbra ,

il gusto intenso di una tua lacrima

si sciolse in acqua tersa .

E rincorri orgasmi ,da noi parsi veri

forse fu prodigio del destino ?

L’incognita ipotecaria

della catarsi ispiratrice …

purificazione fragile , della tragica emozione .

Purificasti la mia anima

annebbiandomi il cuore .

Fosti sovrana di un regno

Io, l’umile tuo servo ,

il vile usurpatore …

Pietoso, mi umilio e cado ai tuoi piedi

nel silenzio naufrago, ti porgo la mia mano .

Ti odio !Vattene dalla mia sentenza

Sei l’oltraggio ,l’incubo crudo della mia vita ,

odio me stesso per averti amata ,

per la maledetta debolezza che ho avuto .

Mi aggrappo al nulla

e sento ancora :

il gusto intenso della tua lacrima ,

l’odore acro ,del tuo profumo .

E mi trovo a raccontare, di me, di un tempo fiorito, del mio estro poetico ,di quello che la mente mi farfuglia ,il concetto del vero ,la lirica per chi la ama …salgo, salgo , gradini infiniti     ,salgo per la mia bontà di donare il cielo , a chi non vede gli apro gli occhi con la mia poesia .

Il revival della vita

Riprendo un concetto ,una ragione d’essere,

di noi un tempo ,la gente fa la storia!

L’ etrusco significato che rinasce e vive,

dai stereotipi che elogiarono gli ignoti ,

i trascorsi restano i passati.

E allora! Fai girare quel vecchio giradischi!

Balla e torna nei nostri anni ;

ai baci rubati ,che nel buio ballavano il lento,

sempre più stretti ,mano nella mano.

Fu l’inizio dell’epica stagione !

Eravamo negli anni del sorriso

dei primi amori e palpiti di cuore,

non c’era il cellulare;

l’anima, massaggiava col sol pensiero.

C’è tanta indifferenza da allora :

cani al guinzaglio fan gioire i padroni,

in prima linea è la guerriglia urbana;

il cannibale morde la sottana.

Ed io canto la vita!

A mio parer dico :

il mondo gira, gira e và lontano,

sei tu la femmina ed io il cialtrone .

E mi consoli e fai la preziosa

con fiori amari vai nella chiesa;

preghi l’ave o Maria ,i sette peccati capitali ,

preghi per chi ,ti liscia il pelo.

E ancora:come una gatta morta strisci intorno al palo

danzi l’eleganza mostrando il piacere,

porti le calze a rete e sei sensuale ;

ti depili l’intimo ,lì ,il maschio fa furore.

Il revival della vita va avanti

per i futuri che sono già presenti,

noi i ragazzi ,i figli dei fiori ;

siamo la canzone , la bella poesia .

E ancora mi racconto ,parlo di me ,un tempo a me caro, parlo della musa che ebbi tra i sogni , poi l’amai nei foresti alberghi ,la crebbi in un letto di limoni .

Fu molto tempo fa

FU MOLTO TEMPO FA che cominciai   a scrivere poesia a risvegliare in me il tempo dei desideri , dei negati sogni ,dei sospiri assopiti per una amata .

 

Fu molto tempo fa , a raccontare di me , le mie avventure , le gioie , le malinconie

Smisurati i stati d’animo , le mie braccia   lontano si protrassero ,

In mio soccorso vennero le nuvole ,ebbi il tempo mio e nessun danno mi fu fetido .

Vennero le grandi scene ,traghettavo la mia culla verso la cultura ,verso la mia poesia

Le muse si tennero distati ed ero solo a raccogliere la musica ,

Solo l’anima mia mi dette sostegno a vincere   il mio embrione che mia madre m’ha lascito .

Fu molto tempo fa ,ed ora colgo forme di plausi fermi ,di occhi distanti e sorrisi su bocche

innocenti , con caparbia ,con impegno duro ,la mia lirica crebbe ,,bilanciata e florida ,piena .

Fu molto tempo fa ,le mie amanti ,le pie donne ,le nebulose dell’eterno ,le vergini sante ,le

concubine dell’amore .

Oh   l’amore !Tutti lo inneggiano pochi lo praticano ,l’amore ….

Mi dettero trastullo , fremiti e orgasmi ,spintonandomi caddi nel burrone , nella selva perdevo

il mio senno ,poi , si , poi ebbi tremori sulla mani ,mi soffocarono le labbra

Nei pori della pelle .

Fu molto tempo fa che posai fiori nel giardino ,tra le aiuole e viticci di sottobosco ,

Seminai la mia vita ,convinto che un giorno ti avessi incontrata ,mentre afferro superbamente

i miei giorni estremi .

Fu molto tempo fa .

Seguo il mio percorso e non mi volto indietro ,seguo i miei giorni ,il susseguirsi della vita ,incontro stragi di malie e supponenti   bivi , ove l’egoismo la fa da padrone , è il vizio a trionfare ,è l’ipocrisia a difendersi, ,è la conseguenza che fa scudo all’ignoranza ,piatto ricco per la sola indifferenza .

Giorni estremi

E mentre nuoto nell’anima mia

nell’angolo buio calo il mio sipario ,

tu l’immagine ferrea ,resto immobile

resto lo scopo per la mia vita .

Son giorni estremi i miei

attimi in cui , vorrei dare, il meglio che possiedo

ricevere venia, per l’amor che dono

nell’anima, l’essenza dei marginati scogli ,

bere a sazietà   acqua santa .

Son deluso di questa vita grama !

Di questo sconcerto che non crea musica ,

un tempo miserevole   fu la parola

ebbe pietà di me ,dell’estroversa follia .

Vai via nuvola che gira !

Non voglio questo mal d’amore ,

questa sterile finzione

che si fregia, di gloria tra i glossari ,

s’impantana in false ipocrisie .

Via incubo del male

malessere di carcere e tortura

di abbondi e flagellanti egoismi ,

in ottusi orecchi mai mi ode

Tarla, la mente fragile all’innocenza .

Ma io banditore a poco prezzo

vendo la mia rossa chioma  ,

al mercato delle pulci ,macero prestigio

affondo la mia carne, in gorghi di fortuna .

Lascio i miei giorni al sol pensiero

a chi sa tessere le frastagliate trine ,

a chi con l’amore è caritatevole

il plauso migliore ,per chi mi ama .

Il riverbero del tempo mi incornicia di natura , di colori e campi da coltivare , di giardini in fiore e donne da amare ,salgo dunque anche questo gradino e mi porta al mio segno zodiacale ove la mia anima si mostra fiera .

Sono belli i miei fiori

Nacqui sui campi dell’amore

molti anni fa alle sette di mattina ,

furiosa fu la luna

per invidia , si mise tra le stelle .

Ma poi il fiore più bello la  invitò sulla riva ,

una sera d’estate ,in riva al mare gli donò una romanza

una di quelle strappa lacrime ,che fa piangere gli innamorati .

Quel mattino il sole annunciò l’alba ,

e transitò tra gli astri  il mio segno

volle che fosse lui il dominante ,

la luna gli voltò lo sguardo

e con una smorfia  gli sorrise .

Di quel mese ,molti hanno il vanto

e tra i colori ,il bianco è il preferito ,

la pietra porta fortuna è la perla

l’argento è l’oro della luna e ne riflette i suoi raggi ,

di lunedì arriva la fortuna .

Ma a me piacciono i fiori !

Come le belle donne le amo ,

le vorrei tutte nel mio giardino

una accanto all’altra e dirgli : vi adoro .

Ma  poi ,la tenacia , il sentimento

della irascibilità ,della malinconia ,

sono gli elementi scatenati della sensibilità pura

di equilibrio stabile ne fa gloria .

Si, sono belli i miei fiori !

Sono l’amore che io vorrei ,

a te donna li paragono vi canto inni e requie .

Vive fra due mondi la mia fantasia

di essenza sentimentale si nutre ,

l’incontrollabile fedeltà è il mio pane ,la musica

la mia casa ,le mie pantofole il mio mare ,

mi fa da cornice l’ambizione

meteoropatico come pochi .

Sono belli i miei fiori

hanno te come ombrello ,

tu, la femmina dei miei giorni

le annusi e sai di buono .

Si, sono belli i miei fiori !

Fu molto tempo fa .

FU MOLTO TEMPO FA che cominciai a scrivere poesia a risvegliare in me il tempo dei desideri , dei negati sogni ,dei sospiri assopiti per una amata .

Fu molto tempo fa , a raccontare di me , le mie avventure , le gioie , le malinconie

Smisurati i stati d’animo , le mie braccia lontano si protrassero ,

In mio soccorso vennero le nuvole ,ebbi il tempo mio e nessun danno mi fu fetido .

Vennero le grandi scene ,traghettavo la mia culla verso la cultura ,verso la mia poesia

Le muse si tennero distati ed ero solo a raccogliere la musica ,

Solo l’anima mia mi dette sostegno a vincere  il mio embrione che mia madre m’ha lascito .

Fu molto tempo fa ,ed ora colgo forme di plausi fermi ,di occhi distanti e sorrisi su bocche

innocenti , con caparbia ,con impegno duro ,la mia lirica crebbe ,,bilanciata e florida ,piena .

Fu molto tempo fa ,le mie amanti ,le pie donne ,le nebulose dell’eterno ,le vergini sante ,le

 concubine dell’amore .Oh l’amore !Tutti lo inneggiano pochi lo praticano ,l’amore ….

Mi dettero trastullo , fremiti e orgasmi ,spintonandomi caddi nel burrone , nella selva perdevo

il mio senno ,poi , si , poi ebbi tremori sulla mani ,mi soffocarono le labbra

Nei pori della pelle .Fu molto tempo fa che posai fiori nel giardino ,tra le aiuole e viticci di sottobosco ,Seminai la mia vita ,convinto che un giorno ti avessi incontrata ,mentre afferro superbamente i miei giorni estremi .

Il mutarsi era palese , la spiritualità incombeva ed io salivo il regno dei poveri ove trovavo la coscienza e scrissi – Dopo la veglia il mio deliri , poesie poco apprezzata  dai miei lettori , ma significativa per la mia scala naturale ove il sogno  frustrante si tramuta in incubo e vuole   ,desidera emergere dai fondali della vita .

Dopo la veglia il mio delirio

Nell’incubo   mi faccio le domande :

La giustizia assolve sempre i dannati ?

Nel delirio della veglia condanna arreco

Difendo solo , quello che mi ha dato vita .

I veglianti non possono giudicarsi , deprecare i sogni

In esso ,la mente , trafuga ogni lacrima ,

Trafuga l’anima mia e si spoglia d’ogni male

Persuade i feroci fremiti ,

Per te , che sei al centro d’ogni impeto

Mi emani gli assoluti   spasmi .

Regni negli incubi miei puri

Nei sentimenti di cuori spezzati ,

Negli orgogli ,nell’amore che si dà  

E tutto nega .

Sogni che fanno avida l’evidenza

Inaspriscono il ghigno del rimorso ,

Del nulla è valso

Del , io , ci riprovo .

Forse è nell’incoscienza l’inconscio , del mio patire !

Nel persuadermi che ogni inizio , ha la sua fine ,

Ogni amore sboccia come un fiore

Nell’inferno cade e si spegne

Tra le fiamme dell‘amore

La spiritualità come sopra scrivevo è il nocciolo del senso onorifico , ,la platea   di un tempo futuro ove l’anima si vuole riposare ,quindi si ribella ,nel corpo umano ,combatte le sue battaglie ,sfida lo stesso essere a capire l’importanza della quiete dell’amore   del   non credere   al polvere che fuma ,ma alla reale esistenza terrena   .

Ci crediamo santi

Poesia spirituale

Questa poesia nasce dai molteplici epiloghi da eventi e episodi contraddittori ,

dalla malvagità che alcuni esseri adottano ,come sola ragione di vita .

L’amore che volevo , che voglio non esiste !

E allora che le botti siano piene ,trabocchino di  rosso vino ,

Dissetano l’anima ai sordi sensi , tra le malizie ,nelle valli delle decisioni .

Ci crediamo santi , ma ,siamo polvere ,siamo sangue sparso

Nell’innocenza l’istinto si ravvede .

Frivoli , increduli ,pietosi a gli occhi del Signore

Malvagi ,buoni , quando c’è bisogno di pregare .

(E , Davide disse : salvami Signore !

Proteggimi   dalla violenza )

Si, disse bene , ma , io , mi credo santo e tramo sventura

Aguzzo i denti ,con la lingua sputo le sentenze ,

Come un serpente ,striscio la vergogna .

Ci crediamo idoli intoccabili

Tanti sono gli agguati sul mio cammino

Di me , perfino i sassi cantano vittoria ,

Soddisfo i miei lagni ,negli imbrogli travolgenti

In iperboree confabulo con gli illusi .

Tanta la cattiveria su questa terra ,tanta da coprire il cielo

Da lasciarti bollire in acqua fredda ,nel brodo a fuoco lento ,

Ma io mi credo santo ,e nessuno mi può contestare

Ho la boria tra le branchie dei serpenti ,sono l’opposto di te che mi leggi   ,

Ti chiedi che voragine hanno i sensi ? Quale amore t’ha fatto sospirare

Quale cuore hai ferito o amato ,t’ha detto , ti , voglio bene .

Ma tu, sei la figlia dell’amore ,m’appari simpatica e gentile ,

Di notte fai sogni impuri ,al mattino fai la puritana .

Godi i viziosi amplessi ,come io annaspo la miseria ,

Volteggio spasmi tra le nuvole ,in un mare i miei desideri.

Salita dunque è sempre più pesante si faceva il cammino , le forze fisiche faticano la mente ,mentre il pensiero fiorisce ed è fiorente ,La poesia si muta ,in me nasce il madrigale ,la stessa narrativa   col primo romanzo – Dimmi quale inferno vuoi – sale dunque in meglio e si porta nel verso lungo , nel racconto ove l’occhio attento sbircia la vergogna e affabula la prosa .Una evoluzione dunque che mi fa salire di gradino col consenso degli osservanti ,col mio senso logico l’affronto ,li coinvolgo .

La porta per l’inferno 

Non mi lascerò coinvolgere dall’indifferenza

dalla sottile ed effimera astuzia ,

Sazierò il mio livore ,dando inizio al nuovo io

a quello che di meglio han valori umani .

Al riflesso naturale che traspare la mia foschia

fatta d’ombra dal mio capo chino .

Bruciatemi pure ,nel fango dei ricordi  io non mi sciolgo

in pantani di olio bollente ,

In rimorsi soffocate l’anima mia , il vostro  veleno è il mio cibo .

Vi apro dunque la porta del mio inferno

li mi troverete e chi vi accoglie   ,

Vi offrirò il mio sangue e tanta malavoglia ,vi offrirò l’odio mio

Vi offrirò il frutto maledetto ,che Eva mangiò e fu il peccato ,

Fu , la porta per l’inferno ,l’unico rifugio degli amanti

concertatori di tombe  e fughe nei silenzi .

Andatevene dunque , fuggite , da me che sono lampo

soccorrete altri infermi i furibondi ,

Lasciatemi al mio delirio , a giocare a guardia e ladri

a sollevare i miei pesi ,

Andatevene ,statemi lontani ,io puzzo di sterco e ho fame di fetore

di sostanze nocive e   scorie di frastuoni ,

Sono la bestia di soma che ara i campi  elisi

sulla guancia del cielo depongo il bacio .

Falcio mietiture su terre e spiagge ,tra i guanciali i miei gagliardi angeli

l’oro si, mi san capire ,

Mi aprono la porta dell’inferno ,traghettano la mia culla  in paradiso

sulla barca del nuovo tempo  mi lasciano libero ,

Dio mi trasporta nella sacra liturgia ove io colgo la preghiera .

Dentro di me i fantasmi s’inchinano

Ballano la gloria , mi premono le labbra sui pori della pelle .

Oh tu giovinezza ,lasci  l’incerto , lasci virilità sconnessa

la florida bilancia che cede il passo ,

Alla vecchiaia superba che sbaciucchia il corpo  

i balsamici baci silenziosamente poni ,

Al mio sole che mi da vita , intorno ad esso nessuno mi osserva

Calo il sipario dell’opera ,a chi non è degno della mia lirica .

Apoteosi

Era fresca di giubilo la fanciulla fragola

Come una rosa che sboccia nei roseti ,

Era la vergine del si ,ma poi vedremo

La tragedia trasgressiva ,

Sul mio corpo , posava i suoi sodi seni .

Aveva gli occhi truccati la bella signora

Gli lessi lo sguardo da vampira ,

Nessuno mi può cambiare , mi ribadì sincera

Nemmeno tu , che mi spogli con la gelosia ,

Annuii ,stetti zitto, rimasi steso sul letto

Altro da me lei voleva , non era mai sazia :

La presi con dolcezza ,la carezzai ,

Gli mostrai la posa del pavone .

Raggiunse l’apoteosi e fremeva – Alleluia   –

Bolliva la sua storia e mi fece sognare ,

Mi purgò col suo acido profumo .

Ci togliemmo di dosso i pesanti fardelli

Gli intendi degli amanti ,

Di promesse violente ,al poi ,al quando

Girai le spalle alla pietosa luce .

L’apoteosi finì e fu breve

L’illusione aprì alte albe ,

Il silenzio covò attese inutili

Fu il possesso della mia sola essenza .

Mi strizzo l’occhio   la bella santa

E mi dette il suo sdegno   :

Io sono quella che sono

Son fatta per piacere ,

Amo colui che m’ama 

E null’altro mi farà regina .

 

Canto ultimo – Omaggio L’amore –

Null’altro ferma il libro dei ricordi

Madrigale tratto dal mio romanzo .

 

Quando sono triste ascolto la mia musica preferita

la musica melodica, che mi ricorda esperienze vissute,

in ogni canzone e lirica, in essa c’è un momento che si riaffiora

mi provoca nostalgia, così ripeto a me stesso:

non pentirti , non giudicarti, se ritieni di essere nel giusto,

cosa c’è di più bello al mondo essere felici

di ciò che ho fatto.

L’emozione dunque sale e come una lacrima

scivola sulla guancia , arriva al lato della bocca

penetra, tra le labbra unte del sapore ,

a volte amaro, a volte dolce come miele

così lecco quella goccia salata

la ingoio e mi passa la malinconia,

perché so , che un’altra donna, sta aspettando il mio canto .

Ho cominciato a capire cosa fosse la bellezza della vita

quando ho visto un sorriso accendersi di conseguenza al mio,

quando ho visto occhi brillare sotto un mio sguardo

e mani tremare al mio tocco.

Ho capito quanto bella fosse la tua anima

quando ho stretto a me i valori della tua,

del volere amare ancora e ancora

quando mi sono sentito assorbire i tuoi principi sani.

Ho capito quanto è importante viverti

quando ho visto il buio e capito la tua essenza ,

sono stato capace di ritrovare la mia strada , la mia luce.

Pochi sanno cosa vuol dire piangere nel ripensare al vissuto.

Ho paura perché la mia dose d’energia sembra inesauribile

e continuo a sperare. “La speranza è l’ultima a morire .

Se smettessi di sperare non so cosa mi rimarrebbe

finirebbe la mia poesia .

Ma sperare fa anche paura

Null’altro ferma il libro dei ricordi .

Poetanarratore .

 

Salgo  la vita ,la mia scala che mai si ferma , tra i barbaglii di luci  inferni e paradisi ,

Nelle selve scure , e oasi di miele  . Salgo per non morire , per dare un senso al mio amore .

Omaggio al sommo poeta Dante Alighieri.

 

Dalla Divina commedia .

Alcuni passaggi ,la morale ,la scienza, la poesia.

 

La morale;detta anche etica

si divide in tre stati:

stato di peccato,

stato di pentimento,

stato di grazia.

 

Dante nella sua rappresentazione dell’altro mondo espone il suo convito,il mondo allegorico,della terrena vita ,della fantasia ,chiamata scienza,la sua utopia di unire scienza e poesia si evince in  una forma diretta e nelle parti sostanziali.

Egli ha aria di dire con certezza la sua morale di vita. Pone la sua domanda al mondo all’animo nostro,all’essere dell’umana gente.

 

VOLETE VOI  SALVARVI L’ANIMA?

 

Lui diceva :venite dunque appresso a me ,nell’altro mondo,ove nell’altro impareremo dalla bocca dei morti la filosofia,la morale,la scienza e sarà salvazione.

Ed i morti parlarono ,espongono la scienza ,soprattutto in paradiso,dove stalli si convertono in vere cattedre o pulpiti,indi la scienza dà la sua forma allegorica.

Un poeta che ai nostri giorni ,unico nel suo genere ,egli  con la sua etica a saputo integrare la contemporaneità che mai ha fine ,vive e regna nell’essere umano ,

(fonde l’amore con la spiritualità ),essa non ha volti preferenziali ,ma unisce il pensiero eccelso dell’uomo  nelle varie religioni  .La sua poesia resta dunque indelebile ,universale nei tempi .

 

Il sistema insegue il poeta che nel suo tormento vaga tra fantasmi ,e dice:

 

Bada che tu non passeggi per pura curiosità .per osservare ,contemplare,dipingere l’animo tuo,il tuo scopo è l’insegnamento ove potrai trovare la saggezza e l’intelletto ,la scienza dell’anima.

Nasce dunque la poetica di Dante tutte le sue invenzioni sono certezze ,meraviglie,immaginari,se poi  con delusione non gli rendono merito o cosa vera.

Fa della poesia  velo di dottrina ,della reale esistenza,fa di un poeta contenuto scientifico,un corpo, una scienza,una realtà .La parola del sommo del suo pensiero gli occupa la mente,ne scaturiscono concetti,in forma mistica in cui il suo  era ormai giunto,un mistero dell’anima dell’umana destinazione in lui non ancora certo come arte;perché dunque l’arte è realtà,un corpo che vive,mentre il mistero dell’anima era  nella sua rozzezza e greggia realtà diffusa tra le genti popolane o tratto allegorico nella dotta  letteratura .Dante si impadronì  di questo concetto e tento di realizzarlo  facendone arte,usando le stesse forme  di pensiero,le stesse intuizioni ,prese quella rozza realtà degli scettici  facendone prefazio del vero.

 

UN POETA che vuole esporre la scienza,e vuole fare poesia ,a mio dire si pone un problema assurdo,è come voler dare corpo a un qualcosa astratto,a ciò che per natura  è fuori dal corpo.

La poesia si riduce dunque a un semplice vestito che si indossa vistosamente,una visuale esteriore,non fa penetrare l’idea,non si incorpora.

Dante  spiega che in questo assunto ,che tutte le forze della sua immaginazione ,da me chiamato immaginario collettivo,,serve a dare voce al pensiero,da ognuno ispirato,un connubio dunque tra scienza e poesia .

Gente mia ,venite a me a cantare poesia.

Convito

 

Venite  a questa mensa ben  imbandita

c’è pane degli angeli che sfamano cultura.

Cosa cerchi tu , uomo

Annaspi la saggezza e la vile arroganza?

La  sola debolezza uccide il disincanto,

tu fanciulla triste fidarti più  non  vuoi.

Amica ,amata ,resta !

Avrai respiro e canterai con noi .

Poetanarratore.

 

 

 A Dante Alighieri

 

Ed io ti lessi nell’età del verso sciolto!

Nell’età della ragione fui costante ,

quand’io compresi il vero canto

capii ch’ero cibo per il mondo .

Un poeta come tanti !

A giocar la forza del destino fui presente,

l’ingegno mio ,

colse frammenti nella città che vive ,

di suoni e canti , d’amore d’altri tempi.

E  fu la tua femmina ;

Beatrice la dolce tua amata!

Ella la tutrice ,

che ad oggi è l’emblematico esempio,

 timone di costanza ,

ispirazione di coscienza …

a sostenere la femminilità ,

 delle fiamme ispiratrici ,

a far scrivere per elle , le pie donne ,

a far sognare i sospiranti.

Sei tu il grande poeta ,Dante!

Il grande che nel mondo spande eco ,

nell’anno mio, t’imponi  e tuoni ;

Che la tua lirica regni  nell’eterno .

 

Il mio inferno sulla terra  di questa mia scala naturale finisce qui
altri saranno i miei canti ,altri gradini da salire .

 

Giovanni Maffeo  Poetanarratore .

 

 

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Caraconza

Artista: Giacomo Brugnano

Lo scrittore Giacomo Brugnamo ha dato alle stampe il suo secondo romanzo “Caraconza”, ambientato a Cirò Marina e costruito intorno ad una storia di droga, che sconvolge una sana ed unita famiglia patriarcale.
Il protagonista è Salvatore, uno studente molto promettente che, influenzato da due amici traviati, imbocca d’apprima il tunnel delle droghe cosidette “leggere”, quindi inizia ad igniettarsi l’eroina, perdendo lentamente ed inesorabilmente la voglia di vivere. Sarà il suo giovane zio, Stefano, insieme ad altri quattro “angeli custodi”, a strapparlo dalle grinfie della morte, inscenando un rapimento e conducendolo sulle colline di Caraconza. Dove, per due lunghi anni, respirando un’aria salubre e serena e recependo gli insegnamenti dei suoi finti rapinatori (quasi una seconda educazione), Salvatore riuscirà a ritrovare se stesso e i valori perduti.
Il romanzo non è ambientato solo “in quel posto incantato che è caraconza” o “nella polverosa pianura del Lipuda”, ma anche in una Cirò Marina animata da personaggi (parroci, sacrestani, professori, artisti, persone umili e “uno scemo del paese, che scemo nonè”) che i lettori cirotani riconosceranno facilmente.
Con “Caraconza” Giacomo Brugnamo fa un grande balzo in avanti, verso la piena maturità letteraria, perchè la sua prosa è diventata ancora più chiara e scorrevole.
egli dedica l’opera in prosa ai suoi genitori, “in perpetuo ricordo” e allegata (altrettanto significativa) raccolta di poesie ai fratelli e alla sua gente. Patrizia Siciliani

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Il bacio del pane

Artista: Carmine Abate

Il mare che si allontana, scintillante nella calura. La fiumara da risalire, gonfia di pietre luminose, i ruderi dei mulini, il bosco di lecci chiazzato del giallo delle ginestre e infine lo scroscio sempre più intenso: è così che Francesco e i suoi amici scoprono un’oasi di pace presso la cascata refrigerante del Giglietto, sopra il paese di Spillace, in Calabria. Il luglio è afoso, e i bagni nel laghetto, seguiti dai saporitissimi pranzi, sono il diversivo ideale per la piccola comitiva di ragazzi e ragazze nemmeno diciottenni, affamati di vita e di emozioni. Ma quel luogo incantevole cela un mistero: in uno dei mulini abbandonati Francesco e Marta incrociano gli occhi atterriti e insieme fieri di un vagabondo, che si comporta come un uomo braccato, cerca di allontanarli ed è addirittura armato. Ma la curiosità buona dei due ragazzi, gli sguardi leali scambiati nell’ombra, hanno la meglio: e presto l’uomo misterioso rivela qualcosa di sé, della ferita che lo ha condotto a nascondersi… Luglio, agosto, giorni in cui la vampa dell’estate si accompagna ai sapori dei fichi maturi, delle olive in salamoia, del pane preparato in casa con un rito affascinante, sul far del mattino. E poi settembre, l’estate che si va spegnendo, il ritorno alla scuola e alla vita usata, la maggiore età che si avvicina: e con essa la consapevolezza che l’incanto non è nulla senza il coraggio, senza l’impegno che ogni vita adulta richiede.

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Il vento impetuoso di quella notte

Artista: Giacomo Brugnano

È un libro autobiografico, che narra la storia, vissuta e sofferta, dall’autore, Giacomo Brugnano da Cirò Marina. Secondo il mio modesto giudizio è un libro che ben merita di essere letto attentamente e ponderatamente e meditato, perché i vari capitoli hanno il pregio di donare sollievo e di farci rivivere, come in un mondo nuovo, un mondo ispirato alla bontà, all’onestà ai sacrifizi, all’AMORE, principalmente, ai supremi valori della vita. I capitoli, tra l’altro, sono colmi di grazia, di sensibilità, di stupore e sono stati scritti con i piedi a terra, come si suol dire, e privi di retorica e di affettazione, ma con semplicità e, soprattutto, con spontaneità.
Io sono un anziano maestro elementare in pensione e quasi ottantenne, ammalato, permanente e, quindi, il mio giudizio è superficiale, mentre il libro meriterebbe la recenzione di un valido critico. Io paternamente posso affermare che gli scritti di questo coraggioso giovane cirotano sono profumati e delicati “fiori” dei nostri boschi di Calabria, perché, ripeto, sono genuini. Anche se il mio giudizio è superficiale, insufficiente, però posso affermare, e con tutta coscienza, che esso libro mi ha affascinato e commosso fin dalla prima lettura, cercando di approfondirlo e sempre di più. Ma ciò che affascina il lettore è l’effervescente interesse per la vita, intesa come polo, attorno al quale si svolge tutto il discorso dell’AMORE – (con tutte le lettere maiuscole), oggi – Ahimè! – il disgrazia, in un periodo storico stracarico di tanti mali del secolo: droga, criminalità d’ogni peggiore specie, pedofilia e chi ne ha più ne metta. Ed è meraviglioso poter leggere in prima pagina del libro: “A mia moglie, luce dei miei occhi”, proprio come si diceva un tempo: “Dimidium animae meae”(metà della mia anima): tale era considerata la moglie, la compagna della vita. Il discorso dell’AMORE, dicevo, ma anche il discorso del sentimento, del fascino del Creato, l’attaccamento al paese natio. Narrazione da vena schietta e spontanea, dolcissima, carica di sentimento nel dramma del tempo attuale che incalza e porta via luci ed ombre, bene e male; ma il bene, l’AMORE, principalmente, il nostro scrittore vorrebbe stringerlo tra le mani per sempre. Nei vari capitoli del libro scene che ogni giorno viviamo in Calabria, ma che, a volte, non sappiamo considerarne nel loro giusto aspetto – e perché no – poetico. In essi capitoli si evidenzia tutto il sentimento di Giacomo Brugnano, che si identifica nella sua opera, come l’affetto, l’aiuto reciproco, il rispetto per i compagni di naia, specialmente per i paesani, con l’impronta dei profondi affetti familiari, legati, malgrado tutto, ad un passato certamente migliore, ricco dei supremi valori della vita. E propri grazie al suo immenso AMORE, egli riesce a dimenticare le offese, i torti della famiglia della moglie; anzi riesce, e con spirito cristiano, a volere loro bene e rispetto. Un altruismo che ci fa meditare. Sincero con se stesso e fedele ai suoi ideali in un meraviglioso verismo attraverso il quale, il lettore riesce a conoscere usi, costumi, tradizioni del suo paese: la bella e storica Cirò Marina. Un libro ricco, tra l’altrondi messaggi attraverso i quali, i giovani d’oggi, se lo vogliono, possono poter conquistare un mondo migliore, quando oggi è l’epoca della pornografia “senza veli o eufemismi”:
l’epoca sex! I temi contenuti nel libro sono tantissimi che ben meritano attenzione, molta attenzione. Io ho voluto gustare prima, assaporare poi, rigodere ancora i vari capitoli (“frutti” meravigliosi) che, tra l’altro, m’hanno scaldato “dentro”, uno dopo l’altro.
L’opera mi ha affascinato e commosso perché, soprattutto, contiene un messaggio che non può fare a meno di incidere sulle nostre coscienze: suggerisce una via di scampo, un mezzo, attraverso il grande AMORE, per riumanizzare la nostra anima da tempo, da troppo tempo, ormai decisamente meccanizzata e falsata. Stupendo è il capitolo dell’emigrazione con i suoi sacrifizi, rinunce, privazioni: sulle prime l’emigrato si sente in terra straniera, impiegherà un certo tempo a comprendere il linguaggio, ancora di più a capirne il costume. Si inserisce in un mondo sconosciuto. Farà un notevole passo avanti rispetto alle condizioni di vita della Calabria, incontrerà gravi difficoltà, ma non farà passo indietro. Penserà ai suoi avi, emigrati nelle lontane Americhe ove hanno lasciato i segni della loro operosità, del loro ingegno, della loro civiltà. Molti emigrati di ieri e di oggi, all’estero ed in Italia, hanno, tra l’altro, saputo raggiungere vette di gloria e di prestigio, proprio come ha saputo conquistare il nostro scrittore Brugnano. Io, prima di chiudere questo mio modesto, molto modesto giudizio, vorrei aggiungere che gli scritti di Brugnano hanno la fragranza del pane fatto in casa. Il mio paterno e caloroso plauso e di auguri di sempre maggiori successi e vita lunga ricca di salute e di DONI CELESTI anche ai suoi cari familiari ed affinché i lettori possano a lungo godere delle sue fatiche anche letterarie, perché un buon libro è una finestra aperta da cui entra la luce che illumina ogni cosa.
D.S.: Per quanto riguarda le pregevoli poesie alle ultime pagine del libro, posso affermare che sono ricche di sentimento umanitario. Sono poesie che hanno un valore educativo perché ricche di profonda umanità e lontane, molto lontane, dai mali del secolo. Il nostro poeta “Brugnano” canta, per la sua Cirò Marina e con i messaggi d’AMORE e di fratellanza oltre i confini del tempo. Un giovane scrittore e poeta, il caro Brugnano, che onora, e non poco, Cirò Marina e, quindi, la Calabria nel mondo, specie in Germania ove opera e conquista, sempre di più onori e glorie.

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